giovedì 25 settembre 2008

Norcia nei prefabbricati dal 1981

Il campo dei prefabbricati del terremoto del 1979, a Norcia, esiste ancora. Ed è diventato una favela. Uno spettacolo indegno a soli 200 metri dalla porta principale della città, su una collina nascosta dalla vegetazione.
Tra i container abbandonati e le casette sfasciate, con le pareti che contengono amianto e i tetti rivestiti di eternit, vivono ancora 15 famiglie che, nel corso degli anni, hanno preso il posto dei terremotati.
E c'è chi è qui addirittura del 1981. "Ci avete dimenticati".

Torniamo a Norcia 29 anni e 5 giorni dopo il terremoto che squassò la Valnerina. Non è certo la prima volta da quel 19 settembre del 1979, ma è sicuramente la prima volta che scopriamo, nascosta tra alberi e cespugli, l'esistenza di una favela.
Una favela più brutta e, in alcuni punti, addirittura più sudicia delle vere favelas, quelle che si vedono dentro Rio De Janeiro o alla periferia di Sao Paulo do Brasil.
Una favela squallida quanto la Città dei morti de Il Cairo e la bidonville di Zinguichor, dove la gente non vive nella piena miseria, ma sopravvive comunque ai limiti della dignità.
Una favela che sembra dimenticata da tutti e da Dio. Siamo ad appena duecento metri da porta Romana, l'accesso principale lindo e pinto della Vetusta (e rediviva) Nursia.
É incredibile. Ma il campo container, diventato poi campo di sfollati e di senza tetto, esiste ancora. Si trova lungo un sentierino che si dipana da via Venti Settembre proprio sotto le finestre del convento di clausura delle monache benedettine di Sant'Antonio.
Ed è abitato da una quindicina di famiglie: 3 italiane, il resto extracomunitarie, in prevalenza macedoni.
Dal 1980, anno della sua creazione (prese il posto della tendopoli), è rimasto lì. Con i suoi prefabbricati pieni zeppi d'amianto e coperti dall'eternit. Con le sue stradine, sterrate e piene di buche e di cespugli, che quando cadono due gocce d'acqua si trasformano subito in torrenti.
Con i pali di pioppo annerito messi in piedi in fretta e furia per garantire un collegamento con gli impianti d'energia elettrica che sarebbe dovuto servire solo per l'emergenza.
Con gli scarichi a cielo aperto. Buona parte delle casette sono abbandonate. Con i vetri sfasciati, le pareti sfondate e, soprattutto, i rivestimenti d'amianto all'aria aperta. Quelle abitate sono a macchia di leopardo, sistemate su una collinetta che sembra solo una grande discarica.
Quando c'è un guasto da riparare gli elettricisti si rifiutano perfino di entrare nei prefabbricati perché non sanno dove mettere le mani e qualsiasi intervento eseguissero non potrebbero garantirlo in sicurezza.
Il postino non sa nemmeno dove lasciare le lettere e a volte le appoggia sugli usci o sulle finestre.
Quelli che ci abitano ancora non sono i terremotati del 1979. Ma questo non vuol dire che la situazione sia meno grave. Il più anziano del campo è un italiano che vive con la moglie dentro un prefabbricato dal 1981. Dopo di lui, arrivò una donna che ancora si trova nel campo. Era il 1983. Tutti, mano a mano che i terremotati tornavano nelle loro case ricostruite, hanno occupato i prefabbricati - molti legalmente, altri abusivamente - pensando che si trattasse di una sistemazione provvisoria.
"Non c'erano case disponibili, neppure in affitto - raccontano - e ci dissero che questa poteva essere una buona sistemazione in attesa dell'assegnazione degli alloggi popolari."

Qualcuno, i più fortunati e quelli ritenuti come i casi più urgenti, sono riusciti ad abbandonare questa favela.
Ma loro, invece, sono rimasti. Perché il turno in graduatoria non è mai arrivato. O perché qualcun altro, per svariati motivi, è passato avanti. Oggi, 29 anni dopo il sisma di Norcia, la favela ancora respira. E chissà che aria respira. Guardandola dall'alto è tutta una distesa di eternit, visto che questo è l'unico materiale che fu usato per tutte le coperture.
L'amianto è anche dentro i tubi di scarico dei fumi e le pareti ne sono imbottite perché fu usato in abbondanza per garantire un minimo isolamento termico.
E non c'è più un solo centimetro quadrato di materiale in buono stato: 29 anni di intemperie hanno logorato tutto.
Anche i tetti, tant'è che piove nelle stanze e perfino sopra i letti. Tra i prefabbricati sventrati c'è addirittura ancora qualche container di metallo del Ministero degli Interni, forse i primi che apparvero dopo la forte scossa del nono grado.
Per capire come si sia arrivati fino a questo punto la storia è lunga. Lunga ventinove anni di battaglie politiche a tutti i livelli, carte bollate, inchieste della magistratura e - ciliegine sulle torte - amministrazioni comunali saltate.
Come l'ultima, caduta per una guerra interna alla maggioranza di governo del centrodestra. Ventinove anni trascorsi, comunque, senza riuscire a smantellare la favela. In pochi vedevano, perché la natura stessa sembra aver voluto nascondere questo luogo agli occhi di tutti.
Ma tutti sapevano. Almeno a Norcia. Tanto è vero che di provvedimenti, per porre rimedio alla situazione, nel corso degli anni ne sono stati varati tanti.
I più efficaci, però, solo negli ultimi anni grazie alla giunta guidata da Nicola Alemanno che, però, è finita in briciole proprio quando stava passando ai fatti.
E con lei sono andati perduti i finanziamenti che la Regione aveva stanziato per creare nuovi alloggi popolari.
Oggi a governare la città c'è un commissario prefettizio: è Giancarlo De Filippis, viceprefetto di Perugia, un uomo che ama i fatti più delle parole.
De Filippis ha il compito di amministrare Norcia fino alle prossime elezioni, attese in primavera. E proprio per questo ha deciso di mettere la parola fine alla favela portando avanti tutti quei provvedimenti che le battaglie politiche avevano fatto arenare e quelle opere che erano rimaste incompiute.
Un cantiere per lo smantellamento dei prefabbricati disabitati inizierà ad essere operativo entro pochi giorni.
Ma non sarà ancora tutto. Perché, per bonificare l'intera area, si dovrà prima trovare un alloggio alternativo alle famiglie che ancora occupano le casette.
Una sistemazione che oggi sembra ancora impossibile perché le case popolari costruite in passato e rimaste a disposizione sono in numero limitatissimo.
Tutte le altre sono servite per eliminare i prefabbricati che, fino ancora a un anno fa, si trovavano disseminati in tante frazioni del Nursino.
Oggi a Norcia arriva in visita ufficiale il prefetto di Perugia,Enrico Laudanna. Sarà sicuramente l'occasione per affrontare il problema e studiare soluzioni. Una cosa, comunque, è certa: lo spettacolo è davvero vergognoso per una società che si ritiene civile.
Parafrasando Primo Levi viene solo da dire: se questa è Umbria..

Sergio Casagrande
dal Corriere dell'Umbria Giovedì 25 Settembre 2008


Sono arrabbiati. Con tutti. Anche con noi giornalisti.
"Vi siete occupati solo dei terremotati di Colfiorito, dei danni agli affreschi della basilica di San Francesco e oggi scrivete e parlate solo del caso Meredith, ma qui non vi siete mai fatti vedere."
Ci accolgono così, con tanta disperazione e voglia di raccontare il loro dramma. Luciano Cappella è il più anziano del campo di Norcia con le casette e i container del terremoto del 1979.
Se non proprio d'eta, sicuramente di residenza. É entrato nel suo prefabbricato nel 1981 e oggi è ancora qui, con gravi problemi alla vista:
"Ero capomastro e lavoravo per la ricostruzione - racconta -.
Arrivai a Norcia da Roma e trovai ospitalità in una casa del centro, ma nel 1981 lasciai quell'abitazione a un nursino terremotato.
Mi convinsero dicendo che c'era un posto in questo bel campo container. E accettai perché ero convinto che la ricostruzione sarebbe durata poco. Invece sono rimasto qui a Norcia e oggi non riesco ancora ad avere una casa. Guardate che schifo c'è qui attorno e entrate pure. Entrate nei nostri tuguri e scoprirete che qui tutto fa schifo. Sia fuori che dentro."
"In questo prefabbricato - aggiunge la moglie Antonietta Marzioni - ci abbiamo vissuto anche con i nostri 6 figli.
Poi ci hanno lasciati per andare per la loro strada. Per fortuna! Se fossero rimasti qui avrebbero vissuto da inferno."
Luciano e Antonietta sono tra i pochi italiani rimasti ancora nel campo. Chi vive qui, in maggioranza, proviene dall'estero. Molti sono macedoni. E tra gli stranieri, stando alle Bmw e alle Mercedes che si vedono parcheggiate, non sembra che siano tutti a passarsela proprio così male.
"C'è chi ha i macchinoni - osserva Luciano - e chi come me che, invece, si è dovuto vendere la macchina perché sta diventando cieco e ha la moglie che non riesce neppure più a camminare. Adesso - aggiunge - dicono che qua smantellano tutto. Ma una casa vera - si domanda - ce la daranno?"
La casa vera, quella fatta di mattoni e non di fogli di cemento farciti di amianto, la sogna anche Maria Cipolla, 64 anni, 24 dei quali passati in questa favela.
"C'è gente - ci racconta mentre ci mostra l'interno del suo prefabbricato che sembra un colabrodo - che in passato è venuta da me promettendomi una casa se gli davo il voto.
E poi è sparita, mentre io continuavo inspiegabilmente a scivolare giù nelle graduatorie che mi dovevano assegnare un tetto."
E alla parola tetto punta l'indice su una macchia d'acqua piovana proprio che si trova sopra il suo letto.
Il prefabbricato in cui vive sarà grande, al massimo, una ventina di metri quadrati. É composto da due stanze e un bagnetto grande quando una cabina telefonica. All'interno tutto è fatiscente e d'inverno si scalda con una grande stufa a legna. "Serve anche a cucinare", sottolinea con un pizzico d'orgoglio. Le domandiamo come si è ritrovata qui. E ci spiega che aveva accompagnato suo marito per la ricostruzione. Poi si è separata, lui è morto ed è rimasta senza niente e senza nessuno. Le restano pochi amici. Tra questi c'è Miralda Picchi, attivista del Pdci, che da anni si batte per veder rispettati i diritti di chi vive in questa indecenza.
"Basta - dice Miralda - è giunto il momento di dire basta."
E a guardare lo scenario di questo campo alle porte di Norcia non si può darle torto. "Siamo dimenticati da tutti", sostiene Maria Teresa Verucci, un'altra italiana che da anni vive in un prefabbricato circondato da container sfasciati e rottami abbandonati.
"Mio marito è morto pochi anni fa per asma, ma chi ci dà la certezza che non è tutto questo amianto ad ucciderci?"
Una paura che rende ancora più tragico lo scenario di tutto il campo.

Sergio Casagrande
dal Corriere dell'Umbria Giovedì 25 Settembre 2008

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